lunedì 10 novembre 2008

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Dalla crisi finanziaria al crollo del sistema bancario americano
gramigna 06 Novembre, 2008 14:59 20/10/2008 Pisa, Intervista al Professor Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea e Geografia politica economica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Ha pubblicato diverse monografie e numerosi articoli. Collabora con “Il Tirreno”, “Il Manifesto”, “Nigrizia”. Tra le sue pubblicazioni più recenti “La fine della globalizzazione?”, Pisa, BFS, 2005, “Mappamondo Postglobale”, Milano, Terre di Mezzo, 2007, “Senza Misura. I limiti del lessico globale”, Pisa, BFS, 2008.
Da qualche settimana la crisi finanziaria è diventata, improvvisamente, il principale argomento di quotidiani, telegiornali, riviste. Tutti parlano di una crisi di proporzioni enormi, senza precedenti nella storia dell’economia mondiale. Quali sono, secondo lei, le cause di un evento di tale portata? Si tratta di una crisi congiunturale, legata a poche, fortuite, circostanze verificatesi negli ultimi anni, o si tratta piuttosto di una crisi strutturale, che affonda le proprie radici in quelle che sono le caratteristiche del sistema economico attuale?

Il vero problema a monte di questa crisi è che si tratta di un fenomeno strutturale e non congiunturale, cioè di una crisi che ha a che fare con una trasformazione profonda di un sistema di produzione che ormai è difficile definire capitalistico. Perché è una crisi strutturale? Perché evidentemente nei prossimi anni ci troveremo di fronte a una realtà che non è più quella del passato. Non lo è più e non tornerà più ad esserlo. Questa crisi strutturale nasce intorno agli anni ’90. Le premesse sono in questi anni e sono legate alla finanziarizzazione dell’economia. Il predominio dell’economia finanziaria è certificato dai numeri in modo impressionante: basti pensare che il valore nominale dei titoli derivati, che indicano tutto ciò che ha a che fare con la finanza o con un pezzo significativo di essa, certificato dalla Banca d’Italia, è di 350 mila miliardi di dollari, quando il prodotto interno lordo dell’insieme dei Paesi di questo pianeta arriva a malapena a 60 mila miliardi di dollari. È quindi chiara una spaventosa sproporzione che non è sempre esistita: se prediamo i dati a metà degli anni ’80 ci accorgiamo che il volume complessivo del valore delle transazioni finanziarie era di poco inferiore al P.I.L. reale. Anche nel caso italiano fino a metà degli anni ‘80 i salari costituivano la metà del P.I.L. Oggi i salari costituiscono meno del 20% del P.I.L., quindi è chiaro che c’è stata una finanziarizzazione che nei numeri è evidentissima.


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